Capitolo 2 – Una doppia vita in perfetta armonia
di Fulvio
Capitolo 2 – Una doppia vita in perfetta armonia
La mia vita, già fin da bambino, era come un pentagramma su cui si scrivevano note di due mondi: quello visibile della materia e quello invisibile dello spirito. Nessuno dei due escludeva l’altro. Anzi, si intrecciavano con un’armonia che oggi riconosco come il disegno profondo dell’Universo.
Ogni gioco, ogni esperienza quotidiana, ogni scoperta, persino i momenti di solitudine o tristezza, avevano un senso cosmico. Ero consapevole, nel mio cuore di bambino, che nulla accadeva per caso. I passi che compivo, anche i più piccoli, erano accompagnati dalla voce silenziosa ma potente della mia guida spirituale. La sua presenza si era fatta parte integrante della mia vita: mi parlava, mi istruiva, mi indirizzava verso ciò che avrebbe fatto germogliare i miei talenti.
Fu così che iniziai a suonare la chitarra. Non fu una scelta casuale. La musica era uno dei linguaggi dell’anima, e la guida me lo fece comprendere. Nelle vibrazioni delle corde sentivo mondi interi. Ogni nota era un ponte verso qualcosa di più grande. La stessa forza mi spinse a disegnare, a cercare nell’arte un’espressione di quel sentire profondo che non poteva essere detto con le sole parole.
In quegli anni nacque anche il mio amore per l’elettronica e la tecnologia. Erano strumenti, non soltanto di conoscenza, ma di esplorazione dei mondi invisibili. La passione radioamatoriale sbocciò come un richiamo naturale: le onde, i segnali, le frequenze… tutto parlava un linguaggio che sentivo familiare. Era come se stessi imparando a tradurre le vibrazioni dell’anima in codici terreni.
Avevo dodici anni quando iniziai a praticare la metafonia, anche se all’epoca veniva ancora chiamata psicofonia. Avevo letto avidamente articoli sul Giornale dei Misteri, su Gli Arcani, su riviste e libri di medianità, spiritismo, esoterismo. Ogni parola era per me come una rivelazione. Chiedevo libri come regali, li cercavo, li acquistavo con i pochi soldi che guadagnavo facendo il baby-sitter.
Fu una svolta. Cominciai a esplorare il mio mondo interiore con serietà e passione. E fu proprio in questo terreno fertile che germogliò la metafonia. Il mio primo “esperimento” lo feci con un piccolo registratore portatile a cassette della Philips, usando un microfono. Ero solo, curioso, aperto… e qualcosa arrivò. Una voce. Un’eco. Una presenza. Era reale, tangibile, ma soprattutto era il segno che quel mondo con cui ero in contatto rispondeva.
Un giorno, durante una cena con amici, commisi l’errore di far ascoltare una delle registrazioni. Pensavo ingenuamente che la metafonia, essendo un fenomeno oggettivo, fosse più “condivisibile”. Ma mi sbagliavo. Uno di loro fuggì via, gridando “Basta, basta!”. Gli altri rimasero turbati, spaesati, impauriti. Compresi allora che quel mondo non era ancora pronto. Non era il tempo. E la mia guida me lo aveva già detto: “Non parlare con nessuno. Questo cammino è tuo. È sacro. E va custodito nel silenzio.”
Da quel giorno, nessuno seppe più nulla. Neppure i miei familiari più stretti. Solo uno dei miei fratelli, presente quella sera, fu testimone della mia esperienza. Ma anche lui non chiese mai nulla. La mia famiglia vedeva in me un ragazzo “strano”, appassionato di letture insolite, interessato a cose misteriose. Mi chiamavano “scienziato” o “filosofo”, ma sempre con quel misto di affetto e distanza, come a dire: “è fatto così”.
E io… io sorridevo. Perché dentro di me c’era la pace. La consapevolezza di essere eterno. A dodici anni già sapevo che non ero nato in questo corpo, né sarei morto con esso. Avevo la certezza che la mia coscienza era una scintilla dell’infinito, e che stava solo facendo esperienza di sé in questa dimensione terrena.
Tutto si teneva: la musica, la tecnologia, l’arte, lo spirito. Ero vivo. Ero consapevole. Ero in cammino.
(Continua)
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