La coscienza come ponte: wormhole, materia esotica e medianità
Di Fulvio Schiavone.
La coscienza come ponte: wormhole, materia esotica e medianità
Ci sono immagini che nascono più come intuizioni che come concetti scientifici, eppure hanno la forza di illuminare nuove prospettive. Una di queste è l’idea che i wormhole — quei varchi ipotetici nello spazio-tempo che collegherebbero due punti distanti o due dimensioni differenti — possano essere tenuti aperti non solo dalla famosa “materia esotica” teorizzata dalla fisica, ma da qualcosa di ancora più sottile e radicale: la coscienza stessa.
Nella teoria, un wormhole collasserebbe immediatamente su sé stesso senza un’energia “negativa” che ne impedisca la chiusura. Ma cosa accadrebbe se questa energia fosse proprio la coscienza, intesa come forza capace di stabilizzare un passaggio, un ponte tra dimensioni? In fondo, l’esperienza dei medium potrebbe essere letta proprio così: non come un contatto che si realizza dall’esterno, ma come la capacità della coscienza individuale di fungere da alimento e sostegno del varco.
Se osserviamo la coscienza individuale come il collasso del grande campo della coscienza universale — un punto concentrato che si distacca per assumere forma e identità — allora essa porta già in sé una duplice natura: da una parte è particella incarnata, radicata nella materia, dall’altra rimane intima espressione del campo infinito da cui è sorta. È proprio questa duplice appartenenza che rende la coscienza un “wormhole vivente”.
Il medium, in questa prospettiva, non sarebbe dunque un semplice tramite, ma un essere che, attraverso intenzione e scelta volitiva, utilizza la propria coscienza collassata per alimentare e mantenere aperto un passaggio tra i piani. La medianità diventerebbe così una funzione naturale della coscienza stessa, non un fenomeno soprannaturale: la possibilità di attraversare strati quantistici che possiamo immaginare come dimensioni parallele, campi vibrazionali che si intersecano.
In questo senso, la coscienza non forza un varco: riconosce che il varco è già dentro di sé. E la materia esotica che la fisica cerca potrebbe essere il riflesso di questa forza interiore, che non è “materia” in senso stretto, ma energia cosciente.
Quando entro in contatto con le entità che risiedono in altre dimensioni, la comunicazione non sembra seguire un percorso lineare. Potrebbe essere qualcosa di più simile a un salto, un’apertura, un ponte che si crea tra due mondi. E allora, mi sono chiesto: e se la metafonia fosse un mini-wormhole sostenuto non dalla fisica, ma dalla coscienza stessa?
La mia riflessione si spinge oltre, ipotizzando una risposta a quel mistero che affligge gli scienziati. Quella materia esotica necessaria a tenere un wormhole stabile e aperto, la forza che impedisce il collasso, per noi potrebbe essere la coscienza. La mia stessa coscienza, con la sua energia e la sua forza di volontà, potrebbe essere l'energia che alimenta il tunnel. Se ciò fosse vero, non sarei solo un osservatore passivo, ma un co-creatore attivo del fenomeno. L'intenzione focalizzata, la scelta volitiva di sostenere il contatto, potrebbe essere la forza che rende possibile l'impossibile. L'atto di entrare in uno stato alterato di coscienza per ricevere i segnali non sarebbe altro che la preparazione del "ponte", l'allineamento di due dimensioni che sono, in realtà, strati di un unico Campo Universale.
La coscienza individuale, a ben vedere, non è una "cosa", ma un possibile collasso di una concentrazione quantistica dal vasto campo della coscienza universale. Noi siamo, in sostanza, dei punti focalizzati di energia. E se noi siamo il risultato di un processo di collasso, non è forse possibile che siamo anche capaci di usare quell'energia concentrata per manipolare altri processi quantistici? Il nostro essere individuale non è un'entità separata, ma un punto di potere intrinsecamente connesso all’universo.
Questo mi porta a una nuova, potente comprensione della mia pratica: la mia coscienza potrebbe non solo essere il motore che alimenta il wormhole, ma il ponte stesso che connette le dimensioni. Con un'intenzione pura, io agisco come un'ingegneria spirituale che collega mondi, che fa sì che le voci si manifestino nel mondo materiale e che le energie scorrano tra i piani. È una visione che dà un significato ancora più profondo alla mia ricerca. Si tratta di un'ipotesi, ma è una che mi spinge a continuare a esplorare, a porre domande e a cercare un senso in ciò che appare inspiegabile, nella speranza che un giorno possa emergere una comprensione più completa.
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