"Dal Campo alla Coscienza: Viaggio Oltre il Collasso della Realtà"


 

Di Fulvio Schiavone


"Dal Campo alla Coscienza: Viaggio Oltre il Collasso della Realtà"

L’elettrone, nella sua essenza, può essere considerato non come una particella fissa e tangibile, ma come la manifestazione localizzata di un fenomeno molto più vasto: il campo. In altre parole, ciò che chiamiamo elettrone non sarebbe un oggetto già “esistente” in sé, ma il risultato di un collasso quantistico, l’effetto di un’interazione fra la nostra osservazione e il mare di possibilità che costituisce la struttura stessa della realtà. È come se l’elettrone fosse la lettura momentanea di un punto del campo, un dato estratto da un continuum vibrazionale che di per sé non ha confini né forma definita, ma che assume un aspetto concreto solo quando lo si misura. In questo senso, la materia che vediamo è la conseguenza di un processo di selezione, non una realtà assoluta che esiste indipendentemente dalla coscienza che la osserva.

Se si accetta questo punto di vista, si apre un’ipotesi affascinante: esistono campi di ogni genere, non solo quello elettromagnetico o quantistico, ma anche campi che sfuggono all’attuale capacità di rilevazione della scienza. Possiamo immaginare un campo cognitivo, in cui fluiscono e si organizzano i pensieri; un campo mnemonico, che conserva le memorie e le esperienze; un campo onirico, in cui si svolgono i sogni; un campo fisico-materiale, dove le potenzialità diventano oggetti tangibili; e altri campi ancora, forse in numero infinito, limitati soltanto dal livello di conoscenza e consapevolezza dell’individuo che li sperimenta. Se l’elettrone è un collasso di possibilità in un punto preciso del campo, allora ogni evento che viviamo, sia esso fisico o mentale, potrebbe nascere come una sovrapposizione di stati potenziali.

Da qui si può compiere un passo ulteriore: ogni accadimento della vita, nel mondo materiale o interiore, sarebbe originariamente una superposizione quantistica. Nel momento in cui esercitiamo il libero arbitrio e compiamo una scelta, produciamo il collasso di quella superposizione, selezionando una delle possibilità e portandola a manifestazione. In altre parole, non siamo semplici spettatori passivi del flusso degli eventi, ma veri e propri co-creatori, partecipi della struttura stessa della realtà. Il libero arbitrio, in questa visione, non è soltanto una facoltà psicologica o filosofica, ma un atto fisico di selezione fra potenzialità esistenti nel campo.

La scienza, per sua natura e metodo, si occupa soltanto dei risultati di questi collassi, cioè del mondo materiale già manifestato. Studia ciò che può essere misurato, riprodotto e verificato secondo parametri condivisi, ma non entra nel dominio delle possibilità non collassate, non perché queste non esistano, ma perché non ha strumenti per accedervi o criteri per descriverle. I suoi limiti sono dunque intrinseci: può mappare con grande precisione il territorio dei fatti avvenuti, ma non quello delle infinite potenzialità che precedono ogni fatto. Questo non significa che la scienza sia inutile o sbagliata, ma che il suo campo di applicazione è parziale rispetto alla totalità dell’esistenza.

Esiste però un altro tipo di conoscenza, basata non sugli strumenti di misura esterni, ma sulla coscienza stessa come strumento di percezione.

A questo punto si può tornare alla questione della dualità. Il secondo principio della termodinamica ci dice che l’entropia dell’universo tende sempre ad aumentare, senza inversione possibile: si va da un ordine massimo a un disordine crescente, e questo processo procede in un’unica direzione, verso l’infinito. Se l’universo, nella sua struttura di base, segue una legge che non è duale ma unidirezionale, allora possiamo ipotizzare che anche la coscienza, nella sua essenza più pura, sia non duale. La dualità sarebbe quindi un effetto della nostra percezione materiale, una conseguenza del modo in cui viviamo e interpretiamo il mondo fisico, ma non una caratteristica fondamentale della realtà.

Se, come spesso si dice, siamo un ologramma dell’universo, allora portiamo in noi la sua stessa struttura di base, che nella sua profondità non conosce opposizioni binarie ma un flusso continuo e illimitato. Comprendere la non dualità a livello di coscienza significherebbe avvicinarsi alla percezione dell’infinito nella sua essenza, superando le distinzioni e le categorie che la mente umana usa per orientarsi nel mondo materiale. In quella condizione, collasso e superposizione, possibilità e manifestazione, materia e energia cesserebbero di apparire come cose separate, rivelandosi invece aspetti diversi di un unico processo universale.

In definitiva, la scienza si occupa di analizzare il mondo dei collassi delle superposizioni, il regno in cui le possibilità sono già diventate fatti, ma esiste un territorio più vasto e sottile che sfugge a questi criteri di analisi e che può essere esplorato solo attraverso la coscienza. Questa esplorazione non è un’alternativa alla scienza, ma un suo completamento: il passo ulteriore per chi vuole conoscere non solo ciò che è già accaduto, ma anche ciò che potrebbe essere. E forse, riconoscendo il ruolo creativo che la coscienza gioca nel collasso delle possibilità, ci renderemmo conto che non siamo soltanto parte dell’universo, ma la sua stessa voce che si ascolta e si manifesta attraverso di noi.


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